Storie sul comune di CELANO

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Celano - frammento bassorilievo nel museoLa “Collezione Torlonia di Antichità del Fucino” è esposta definitivamente nella prestigiosa sede del Castello Piccolomini di Celano dal 10 maggio 2003 in una specifica Sezione Archeologica del Museo Nazionale d‘Arte Sacra della Marsica.
I materiali della raccolta, di cui sono scarse le indicazioni di provenienza, sono stati rinvenuti durante i lavori per il prosciugamento del lago Fucino, voluti dal Principe Alessandro Torlonia, terminati nel 1875.
Conservati all‘interno del vecchio palazzo Torlonia in Avezzano, solo nel 1895 furono esposti al pubblico nel padiglione ligneo ottagonale del parco annesso, dove rimasero custoditi anche dopo il terremoto del 1915, che rase al suolo l‘intera città di Avezzano.
La raccolta fu nuovamente spostata nel palazzo Torlonia dopo la sua ricostruzione e nel 1936 fu redatto il primo inventario con la divisione in dieci classi dei 184 oggetti e 344 monete.
Salvati dai bombardamenti del 1943 perché nascosti in un rifugio blindato, i materiali furono collocati dopo la Liberazione nella soffitta del palazzo, dove rimasero fino all‘allontanamento dei Torlonia da Avezzano in seguito alla riforma fondiaria del 1950.
Seguendo le sorti della famiglia i reperti furono trasportati a Roma nella residenza del Principe, dove sono rimasti inaccessibili per molti anni sia al pubblico che agli studiosi.
L‘intera Collezione Torlonia fu acquisita nel 1994 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, per essere esposta nella sede attuale.
La raccolta, oltre agli importanti fregi architettonici, che con le vedute di una città e del territorio circostante rievocano il panorama lacustre antico, comprende anche monete, statuine, sculture, armi ed utensili che interessano un arco temporale che va dal III millennio a.C. fino al secolo XVI.
Nel percorso di visita i reperti sono esposti secondo una sequenza cronologica, alla cui comprensione contribuiscono alcuni pannelli didattici che, oltre a spiegare la storia delle trasformazioni del territorio del Fucino, approfondiscono gli aspetti storico - scientifici del materiale esposto.
Completa la sezione archeologica uno spazio delimitato da quinte scenografiche che riproducono particolari ingigantiti dei bassorilievi della Collezione; al suo interno viene proiettata su tre schermi una multivisione che ha per temi i due grandi eventi che hanno profondamente cambiato la morfologia, la vita e l‘economia del territorio marsicano: il prosciugamento del lago Fucino e il terremoto della Marsica del 13 gennaio 1915.

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dalle origini al 1227 [ torna all'indice ] [ chiudi questa sezione ]

Celano - stampa veduta

Celano, centro importante della Marsica, «caput Marsorum» durante il Medioevo, ha avuto origini antichissime al pari degli altri grandi centri marsicani.
Varie sono le ipotesi riguardanti il primo insediamento della città1, rimane certo però che fin dai tempi antichi Celano occupava la riva nord del lago Fucino; per la prima volta il paese viene nominato da Tito Livio nel libro XXXVIII della L Deca della sua storia di Roma: «...est enim in Marsis Coelanum oppidum».
Tra il V e il IV sec. a.C. Celano era sicuramente un « vicus» con relativo «oppidum», infatti nel suddetto periodo nasce la maggior parte degli «oppida» marsi, quando il pericolo di assedi o di invasioni è rappresentato dalle popolazioni vicine e Roma è ancora lontana. A quel tempo Celano, come tutti i paesi rivieraschi, per mancanza di terre dovuta alla presenza del lago, aveva un'economia pastorale che si esauriva nella transumanza interna; solo più tardi con la lega Sabellica   (343 a.C.), i Marsi ebbero garantiti i pascoli estivi dell'Appennino e invernali nella costa adriatica e frentana.
Nel 304 a.C. i Marsi, insieme ad altri popoli, formarono un'unione di tipo federale che aveva come fine il collegamento dei pascoli tra gli associati. A questa lega, sempre nel 304 a.C., Roma concesse il «foedus» determinando così il definitivo ingresso dei Marsi nell'orbita romana. Tale data fu importante poichè Alba Fucense divenne in questo periodo colonia romana e fu Celano a divenire capoluogo dei Marsi Fucentes2.
Celano - stampa castello PiccolominiIl III secolo a.C. vede la nascita delle prime vie erbose, le «autostrade della transumanza»3:i tratturi Aquila-Foggia, Pescasseroli-Candela, Celano-Foggia che acquistarono massima importanza durante l'epoca imperiale. La nascita dei tratturi portò di conseguenza ad una politica di salvaguardia di tali itinerari pastorali mediante la costruzione di castelli o più semplicemente di torri.
Perché Celano diventi «caput Marsorum» bisognerà attendere il tramonto dell'impero romano d'occidente quando le invasioni barbariche, per le frequenti scorrerie e saccheggi, determinarono la decadenza di Alba Fucense.
Furono proprio le invasioni barbariche e i frequenti straripamenti del lago4 a determinare l'abbandono del primitivo insediamento celanese e l'arroccarsi del paese sul monte Tino nel V-VI sec. d.C. Tale località fu scelta per la sua posizione strategica che garantiva sicurezza alle popolazioni contro le aggressioni dei nemici e le insidie del lago.
Nel VI sec. d.C. l'Italia passò in mano ai Longobardi, il re Alboino divise le terre conquistate in feudi a cui diede il nome di ducati, questi furono divisi in feudi minori: gastaldíe - sculdascíe e centenariati. La Marsica, al tempo del duca Faroaldo, divenne una gastaldía alle dipendenze del ducato di Spoleto. In tale periodo sede vescovile della Marsica era Marruvium, fatto che generò sempre discordia con Celano che, importante centro economico e politico della Marsica, cercò sempre di affermare la propria autonomia religiosa.
Nel 774 i Franchi subentrarono ai Longobardi determinando la rinascita economica della contea. In questo momento la storia di Celano si identifica con quella della Marsica in quanto «caput Marsorum», molto spesso esso verrà scelto come residenza dei conti marsicani.
Nell'819 l'imperatore Ludovico I elevò a titolo di conti i gastaldi di tutta la provincia Valeria, si creò così nell'850 la Contea dei Marsi con a capo Celano. Il primo conte fu Gerardo, ad esso nell'890 seguì Doda (secondo le leggi franche che ammettevano anche le donne nel diritto di successione) che nel 910 sposò Lindano, nipote di Carlo Magno; da questo matrimonio nacque Berardo 1 detto il « Franciscus» conte dei Marsi e capostipite della famiglia Berardi. La Marsica entrò a far parte dei possedimenti dei Berardi con effetti positivi sia economici che sociali soprattutto per Celano che divenne la sede della famiglia.
In epoca normanna si accrebbe l'importanza di Celano e di Alba Fucense direttamente coinvolte e presenti nella vita del lago Fucino; va detto, a questo proposito, che da quel momento troveremo il Fucino contraddistinto spesso come lago di Celano, denominazione questa comprovante l'aumentato prestigio celanese e lo stretto rapporto tra la città ed il lago. Sotto la dominazione normanna Celano ebbe un incremento demografico poiché accordi vantaggiosi furono stipulati fra re Ruggero e i conti locali con aumenti di territorio; in base ai soldati forniti si può ipotizzare che Celano contasse a quel tempo 1500 abitanti, una popolazione maggiore quindi di tutti gli altri paesi della Marsica. Il conte Rainaldo aveva in proprietà: Celano, Foce. Pescina, Agello, Venere, Vico dei Marsi, Sicco in Balba, Ascolo ed Ortona; egli aveva inoltre come feudi soggetti a servizio militare S. Sebastiano dei Marsi, Cocullo, Secinaro, Goriano e Molina in Balba. All'espansione territoriale fece riscontro un'autonomia ecclesiale raggiunta da Celano intorno al 1170 con il trasferimento provvisorio della diocesi dei Marsi da Marruvium a Pescina, paese sotto la sua influenza.
Il momento di massimo splendore il paese lo raggiunse sotto il conte Pietro, questi dopo aver riunito nel 1198 le contee di Albe e Celano tentò di ampliare i suoi domini oltre l'Abruzzo con lo scopo di creare un forte stato cuscinetto tra il nord ed il sud. Con l'avvento degli Svevi la situazione politica della contea celanese subì un radicale mutamento. Il conte Pietro, in un primo momento avverso agli Svevi, era passato dalla parte di Federico II posto sotto la protezione del Papa Innocenzo III.


Celano - stampa interno castello PiccolominiQuando però nel 1210 Ottone IV di Brunswich, incoronato imperatore, scese in Italia per rivendicare il possesso del regno di Sicilia contro Federico II, Pietro si schierò dalla parte di Ottone, ottenendo da lui la Marca di Ancona e la carica di capitano e maestro giustiziere del regno. Per il suo tradimento il conte Pietro fu destituito, a lui successe Tommaso6conte di Albe e di Celano e conte del Molise per aver sposato Giuditta ultima erede di quel feudo. Tommaso continuò la politica del conte Pietro favorendo l'incremento dell'armentizia attraverso le nuove vie aperte dall'espansione territoriale in atto, ciò in contrasto con la politica perseguita da Federico II favorevole allo sviluppo dell'agricoltura.
Il programma politico di Federico II era quello di imporre la sovranità imperiale alle varie città, molti furono i comuni che si ribellarono tra i quali Celano. Il conte Tommaso, deciso a continuare la politica d'indipendenza locale avviata dal suo predecessore, approfittando della partenza di Federico II per la Germania, si ribellò mettendo in fuga le truppe imperiali in diverse parti della propria contea. L'imperatore, che temeva la presenza di questa vasta e forte contea in posizione strategica di controllo sulle vie di comunicazione tra l'Italia centrale e meridionale, nel 1223 si recò di persona a Celano assediandolo.
Il conte Tommaso, che si trovava nella rocca molisana di Roccamandolfi, seguendo i tratturi del Macerone e poi quello di Pescasseroli, si portò ad Ovindoli donde discese per liberare gli assediati nella torre di Celano. Sopraffatti dalle truppe imperiali, Tommaso fuggì a Roma, gli abitanti furono costretti ad abbandonare le proprie case, il paese ed il castello furono incendiati e distrutti; restò indenne solo la chiesa di S. Giovanni Evangelista, oggi S. Maria delle Grazie.
Il conte, venuto a patti con l'imperatore, ebbe la conferma della contea di Celano ma dovette rinunciare ad Ovindoli, a S. Potito, alle fortificazioni di Celano, a quelle della Torre e della Serra, con lo smantellamento di tutto l'apparato militare della contea.
I celanesi furono esiliati in Sicilia, Calabria e Malta e lì resteranno fino al 1227. Nel luglio di quell'anno Federico II, per intercessione del Papa Onorio III, permise ai celanesi di tornare in patria; il nuovo paese sorse ai piedi del monte Tino e per ordine di Federico Il si chiamò Cesarea7, nome conservato fino alla morte dell'imperatore (1250) quando il Conte Ruggerone Berardi ridiede alla città il suo antico nome. In pochi anni venne ricostruito un nuovo borgo con la rocca e la cinta muraria, molti degli abitanti e delle borgate vicino a Celano abbandonarono le loro abitazioni per riunirsi al nuovo centro8.


1Il Di Pietro (Agglomerazioni attuali delle popolazioni della diocesi dei Marsi, Avezzano 1896, pag. 84) sostiene che il duce Marsia dopo aver regnato nella Lidia, venuto in Italia, si stabilì nella Marsica dividendo le terre conquistate tra i suoi seguaci provenienti dall'Asia Minore; il territorio di Celano fu assegnato al popolo dei Frigi che sul monte Tino avrebbero edificato l'antico castello: questo dalla città di Celene, lasciata in Asia, si chiamò Celano o Coelanum. Il Corsignani (Reggia Marsicana, Napoli 1738, pag. 457-8) fa risalire l'origine di Celano al tempo dei popoli italici e lo colloca sulle rovine dell'antica Cliternum, interpretando erratamente un passo di Tito Livio. Il nome effettivo dell'antica Celano è attestato quale «fundus» da frammenti epigrafici rinvenuti nel territorio di S. Benedetto dei Marsi. Una di queste iscrizioni riporta il nome di Celano chiaramente visibile oltre a quello di Aielli: « Aurunc (ul) eia L(... ) (fundi?) Caelani Agellan (i). Urvi (u) s. Aprusc (o?..) (L. LETTA, Notizie varie sulla Marsica, Celano e il Fucino, L'Aquila 1980 pag. 52-3).

2Secondo Plinio il Vecchio i Marsi si suddividevano in 5 gruppi: gli Anxantines, gli Antinates, i Lucentes, i Marruvii, i Fucentes oltre al gruppo dei Marsi Albensi.

3La definizione è di Lidio Gasperini nello scritto «Sedi umane e strade in Abruzzo nell'età romana», estratto da «Studi geografici sull'Abruzzo in via di sviluppo» (pubbl. n. 17 dell'Istituto di geografia dell'Università di Pisa, 1970).

4Ludovico Muratori ricorda che nell'anno 589, durante il regno di Autari, ci fu una serie di terribili alluvioni; proprio in quell'occasione il Fucino ebbe una crescita smisurata di acque a quanto sembra mai verificatasi e tale da provocare danni alle città e ai vari centri rivieraschi (L. GATTO. Terre e vicende del Fucino in età medioevale in Fucino cento anni 1877-1977, pag. 218).

5A capo della gastaldía (longobardo gastald) era il gastaldo dipendente direttamente dai re, egli rimaneva in carica temporaneamente e aveva funzioni civili, militari e giurisdizionali. Ai centenariati (centena-gruppo di 100 famiglie) erano preposti i centenari, essi avevano poteri limitati in campo d'amministrazione e di soluzione dei conflitti nell'ambito di materieche non fossero espressamente competenti di altri organi. Alle sculdascíe (longobardo skuldhaizo) erano preposti gli sculdasci, ufficiali longobardi che rendevano giustizia nei giudizi minori, derivando il loro potere dal re ma dipendendo dal gastaldo regio.

6Il Colapietra (Profilo storico di Celano medioevale S.T.I, 1978, pag. 14), sostiene che Tommaso fosse il figlio del conte Pietro; il Febonio lo ritiene fratello di Innocenzo III; il Gattinara (Storia di Tagliacozzo 1984, pag. 54) lo ritiene fratello del Papa Onorio III.

7Secondo E. Cerasani (Marruvium e S. Sabina 1968, pag. 111) Cesarea deriva da caesa = distrutta; rea - colpevole. Secondo L. Gatto (op. cit. pag. 224) Cesarea da Caesar in onore dell'imperatore Federico II.

8Si unirono al nuovo Celano il paese di S. Vittorino, il villaggio di Conabarbetta, il paese di Porciano e il villaggio di Pensula.

[fonte]

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Celano - vistaIl Castello di Celano è generalmente noto come «Castello Piccolomini»: questa denominazione pone l'accento su una datazione quattrocentesca del complesso architettonico. In realtà la prima fase della costruzione avvenne, con molta probabilità, intorno al 1392; fu in questa data, infatti, che il conte di Celano, Pietro Berardi, ordinò l'edificazione della Chiesa di Sant'Angelo e dell'antico convento dei Celestini, donando ai monaci il suo antico palazzo1. Si suppone, quindi, che al momento in cui il conte lasciò la sua vecchia dimora l'edificazione del nuovo castello sulla cima del colle S. Vittorino fosse iniziata da qualche tempo2. In questa prima fase furono costruiti la cinta muraria ed i primi due piani del mastio fin sotto la cornice marcapiano3.
Per avere altre notizie sul castello bisognerà attendere il tempo del matrimonio della contessa Icobella4, nipote di Pietro, con Lionello Acclozzamorra5 il quale riprese la costruzione dell'edificio nel 14516, portando quasi a compimento l'opera con la realizzazione del piano nobile, del cammino di ronda e delle quattro torri d'angolo7.
Nonostante i due tempi di edificazione abbiano dato al castello diverse caratteristiche di stile, la costruzione nel suo insieme si presenta compatta ed armonica tanto da far pensare che anche le opere realizzate in un secondo tempo facevano parte del progetto iniziale. L'Acclozzamorra fece forse abbassare le torri angolari, essendo cambiati i canoni costruttivi medioevali in funzione dell'evoluzione dei mezzi d'offesa, e realizzò l'apparato a sporgere con il soprastante cammino di ronda a pari altezza lungo tutto il perimetro dell'edificio, per facilitare lo spostamento dei difensori.
Celano - il castello PiccolominiNel 14958, con la morte di Ruggerotto, figlio di Icobella e dell'Acclozzamorra, si estinse la dinastia dei Berardi, ma già dal 1463 Antonio Todeschini Piccolomini, nipote di Papa Pio II, era stato investito della contea di Celano da Ferdinando d'Aragona.
Il Piccolomini apportò un grande contributo architettonico alla struttura del maniero, trasformandolo in palazzo residenziale anche se i suoi interventi si limitarono a completamenti, aggiunte e decorazioni9.
Egli, infatti, completò il secondo piano del loggiato del cortile con archi a tutto sesto impostati su capitelli recanti i simboli della sua famiglia: la croce e la luna falcata. Fece aprire diverse finestre fra le quali quella rettangolare del prospetto principale decorata con mostra a cassettoni, e fece realizzare molte loggette pensili poste sugli sbalzi poggianti su beccatelli in pietra ancora oggi visibili sulle pareti dell'edificio.
Più incisivo, invece, fu l'intervento che Antonio Piccolomini effettuò sulla cinta muraria: egli rinforzò gli angoli più esposti della spezzata che segue le curve di livello, inglobando le vecchie torri ad "U" con delle grandi torri circolari munite di scarpa nella parte inferiore. Inoltre, per dare maggiore protezione agli ingressi ampliò la cinta stessa in corrispondenza di essi munendoli di antiporta. L'ingresso pedonale a sud-est fu preceduto da un rivellino triangolare con torre circolare ad angolo10.
Nel 1591 i Piccolomini vendettero la contea di Celano a Camilla Peretti sorella del Pontefice Sisto V11.
Celano - interno castello PiccolominiAd un membro di questa famiglia si riferiva l'iscrizione posta sull'ingresso del castello, oggi leggibile solo nella prima riga12.
Nel 1647 Celano fu coinvolta con tutta la Marsica nella rivoluzione napoletana di Masaniello contro i Borboni ed il castello fu occupato dai rivoluzionari appoggiati dal Barone Antonio Quinzi dell'Aquila. Dopo la pubblicazione di un editto rivoluzionario del Quinzi (8 gennaio 1648), il governatore d'Abruzzo Pignatelli inviò nella Marsica il mercenario Pezzola ad assediare il castello. Dopo numerosi attacchi falliti, solo alla fine della sommossa di Napoli il castello e la città si arresero13.
Dopo i Peretti la contea di Celano passò ai Savelli14; anche il nome di questa famiglia figurava in un'iscrizione, oggi distrutta, posta sopra l'arco dello scalone che conduce al piano nobile15.
In seguito la contea passò agli Sforza-Cesarini e successivamente agli Sforza Cabrera Bovadilla, ultimi conti di Celano prima dell'abolizione dei feudi (1806). I beni della contea vennero amministrati per tre quarti dal marchese Claudio Arezzo e per il resto dalla marchesa Giacinta de' Torres16 alla quale successero i Dragonetti.
Durante il secolo XIX le strutture murarie dell'edificio hanno subito danni dovuti all'incuria dei numerosi proprietari e a diverse scosse telluriche che hanno provocato crolli forse di poco conto, ma mai riparati da alcuno17.
II catastrofico terremoto che si abbatté sulla Marsica il 13 gennaio 1915 cancellando interi centri abitati, provocò gravissimi danni anche al castello di Celano: crollarono molte volte e tutti i solai, il doppio loggiato dei cortile, parte del cammino di ronda e delle merlature e tutte le loggette pensili; le torri angolari denunciarono gravi lesioni e quella a sud-est risultò distrutta per metà della sua altezza. L'edificio fu lasciato in completo stato di abbandono per più di 25 anni, con gravi danni alle strutture già pericolanti.
Nel 1938 lo stato operò l'esproprio per pubblica utilità e nel 1940 iniziò i lavori di restauro che, dopo l'interruzione della seconda guerra mondiale, ripresero nel 1955 per terminare nel 196018.
L'intervento è consistito in una ricostruzione scientifica delle parti mancanti basandosi sulla abbondante documentazione fotografica esistente. Nella reintegrazione delle strutture portanti si è tenuto conto delle norme antisismiche vigenti in Italia, usando, dove necessario, il cemento armato.
La cinta muraria, che all'inizio del secolo risultava deturpata da aggiunte e soprelevazioni, è stata riportata alla sua semplicità originaria lasciando in evidenza solo gli elementi che ne caratterizzavano la funzionalità difensiva. Sono oggi visibili numerosi apparecchi di difesa come le feritoie poste a copertura dell'intera cinta, e le caditoie che proteggono le porte.
celano 4All'interno, a ridosso della muraglia difensiva, si notano dei ruderi fermati nella rovina dal restauro conservativo; erano evidentemente locali adibiti a stalle, cantine, depositi per le munizioni.
Dal lato sud-est, protetto da un fossato asciutto19, si accede al castello tramite il doppio ingresso, il primo con ponte levatoio, il secondo, più antico, con arco ogivale sormontato da una caditoia. La cinta circoscrive, oltre ad altri spazi verdi, la lizza di forma pressoché circolare attualmente utilizzata in estate per rappresentazioni teatrali.
Il palazzo vero e proprio si presenta subito con le caratteristiche di un edificio residenziale, soprattutto nel piano nobile. I primi due piani hanno poche aperture alcune delle quali di dimensioni molto ridotte; notevole è il portale d'ingresso che si apre nel prospetto sud-est. Esso è caratterizzato da due archi, uno a sesto ribassato e l'altro che lo circoscrive a sesto acuto; il Perrotti ritiene sia di scuola senese con influenze napoletane del periodo durazzesco20.
Una cornice marcapiano, che corre lungo tutto il perimetro dell'edificio, segna la linea d'imposta delle finestre del piano nobile realizzate da Lionello Acclozzamorra. Si notano su questo piano numerose finestre bifore archiacute, l'una diversa dall'altra, ornate con capitelli e decori vari; una splendida trifora che si apre sul prospetto nord-ovest ed alcune finestre quadrangolari decorate realizzate dal Piccolomini.
L'intera costruzione è coronata da un apparato a sporgere continuo sorretto da beccatelli in pietra a due sbalzi posti su archetti in mattoni. Agli angoli del perimetro rettangolare di base emergono quattro torri merlate alte circa sei metri.
Entrando nel palazzo si accede, attraverso un androne voltato a botte, nel cortile con porticato a doppio ordine. Anche all'interno è leggibile sulle strutture architettoniche la storia del monumento nel tempo. Il porticato del piano terra infatti, raggiunge l'altezza dei primi due piani edificati dal conte Pietro, ed è formato da archi ogivali ancora in uso corrente in Abruzzo nonostante si fosse alla fine del Trecento. I soprastanti archi del piano nobile, invece, presentano un numero doppio di campate con archi a tutto sesto tipici dell'architettura rinascimentale.
I corpi di fabbrica si snodano con spessore quasi costante su ogni lato del rettangolo che costituisce la pianta di metri trentanove per cinquantuno di lato.
Al centro del cortile è situato il pozzo che dava la possibilità di utilizzare le acque piovane raccolte nella sottostante cisterna.
Gli interni si mostrano scarni nella loro essenzialità costruttiva essendo andati perduti numerosi affreschi di cui ci hanno tramandato memoria alcuni autori dell'ottocento. Restano alcune porte con cornici in pietra che disegnano timpani triangolari e con architravi poggianti su capitelli decorati con motivi vari e fantasiosi.
Celano - trifora del castello PiccolominiSul loggiato del piano nobile si affaccia il portale della cappella privata di S. Andrea col blasone dei Piccolomini scolpito sull'architrave in pietra.
Il collegamento fra i vari piani è possibile grazie allo scalone, posto a sinistra dell'androne d'ingresso, ed a varie scalette interne. Nella torre nord è situata una scala a chiocciola in pietra che conduce ad una piccola uscita di sicurezza. In corrispondenza di essa, infatti, è situata la torre circolare nord-ovest della cinta muraria, munita di una porta che dà all'esterno opportunamente protetta da una piccola caditoia. Tale apertura doveva servire in casi di assedio per il rifornimento di viveri e per l'ingresso di rinforzi. Il castello, data la sua struttura imponente ed i numerosi apparecchi di difesa «...si rivelò una fortezza inespugnabile ed i castellani quasi mai si arresero...»21.
L'edificio, un tempo centro della vita del paese e della contea di Celano, oggi funge da fulcro paesaggistico, essendo visibile per un raggio di molti chilometri da tutto il territorio del Fucino e dai monti circostanti. Emerge notevolmente per la sua mole e per la sua posizione anche rispetto al centro abitato che, urbanisticamente, si è sviluppato in senso avvolgente intorno ad esso.
Attualmente il monumento è sede di Uffici Periferici della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, dal 1992 è sede del Museo della Marsica. Inoltre l'edificio dispone di ambienti nei quali periodicamente vengono allestite mostre d'arte, organizzati convegni e manifestazioni di ogni genere rappresentando così un punto di riferimento per l'attività culturale della Marsica.

Maurizia Mastroddi


1P.A. CORSIGNANI. Reggia Marsicana. Napoli, 1738, parte I, Libro III, pag. 619.
M. FEBONIO, Historia Marsorum. Napoli, 1678, Libro III, cap. 7, pag. 233.
G. BARBATI, Monografia del castello di Celano. Casalbordino, 1893, pag. 8.
T. BROGI. La Marsica antica medioevale, Avezzano, 1979, vol. 11, pag. 377 «Pietro alla sua Celano, ove forse nacque, demolì il vecchio castello e su di esso cominciò a edificare la chiesa di S. Angelo... »

2G. BARBATI, op. cit. pag. 7 «L'anno preciso in cui vennero gettate le fondamenta e chi l'avesse architettato noi sappiamo....... ».

3Alcuni autori di testi di storia locale, fra i quali il Barbati, sostengono che il conte Pietro Berardi costruì l'edificio fin sotto i beccatelli sorreggenti l'apparato a sporgere; Perrotti e Perogalli ritengono, invece, che la costruzione si fermò al primo piano. La seconda ipotesi è quella più attendibile considerando i caratteri stilistici e le dimensioni delle finestre che si differenziano notevolmente fra loro nelle due parti dell'edificio divise dalla cornice marcapiano.

4Icobella, o Iacovella, o Covella, o Giovannella. Si ritiene opportuno ricordare questa figura femminile che emerse nella storia della Marsica. tracciando una sintesi della sua vita: il padre di Icobella, Nicola conte dei Marsi, morì lasciandola erede dei suoi beni, ma questi vennero incamerati da Giordano Colonna, conte di Albe, parente di Papa Martino V. Icobella stessa fu posta sotto la tutela di detto Papa il quale, in seguito, con l'intento di farla sposare con il nipote Odoardo, assegnò a quest'ultimo le contee di Albe e Celano.
Alla morte di Martino V, Icobella fuggì da casa Colonna e nel 1439 sposò il capitano Giacomo Caldora, il quale morì dopo pochi mesi.
Nel 1441 la contessa si risposò con Lionello Acclozzamorra con il quale governò serenamente per più anni. Alla morte di Lionello il loro figlio Ruggerotto. pretendendo l'investitura della contea di Celano, assediò la madre presso il castello di Gagliano, successivamente la tenne prigioniera presso il castello di Ortucchio fino all' «intervento del Papa Pio II che, dopo aver fatto liberare la contessa, le assegnò dei castelli in Puglia togliendo però definitivamente a lei e alla sua famiglia la contea di Celano.

5Acclozzamorra, o Acclozamora, o Acclozamorra, o Accrocciamura.

6G. BARBATI , op. cit, pag. 9. T. BROGI, op. cit. vol II, pag. 391. C. TOLLIS. Storia di Celano, Avezzano, 1967, pag. 103.
M. FEBONIO, op. cit., libro III, pagg. 233 e 234. P.A. CORSIGNANI, op, cit., parte I, libro III, pag. 592.

7Il Febonio ritiene che il castello sia stato completato dall'Acclozzamorra riportando il testo della lapide che, secondo lui si trovava nell'edificio in oggetto:

ME COMPLERE FECIT LIONELLUS   LIONELLO ACCLOZZAMORRA
ACCLOZAMORA MONACHORUM   MI PORTO A TERMINE
VITAM IN MELIUS REFORMANTEM   MIGLIORANDO LA VITA
DEI ANNO DOMINI MCCCCLI   MONACI. ANNO 1451

Il Corsignani, il Bindi ed il Perrotti sostengono, però, che la lapide si riferiva ed apparteneva al monastero dei Celestini. A sostegno di ciò si riporta il testo della lapide posta sul pavimento della chiesa di S. Angelo, annessa al convento dei Celestini, dove era sepolto l'Acclozzamorra (oggi la lapide non è più visibile in quanto il pavimento è stato rifatto):

LEONELLI ACCLOZAMORAE COMITIS REGI
ALPHONSO AB ARAGONA IN ARDUIS
FIDELIS, AC DE COENOBIO BENEMERENTI
OSSA HIC HUMANTUR
QUI SONO SEPOLTE LE OSSA DI LIONELLO ACCLOZZAMORRA
FEDELE SEGUACE DEL RE ALFONSO D'ARAGONA
NELLE DIFFICILI IMPRESE E BENEMERITO AL CENOBIO

P.A. CORSIGNANI, op.. cit., parte I, libro III, pag. 624.

8R. PERROTTI, Il castello di Celano nella storia e nell'arte della Marsica, Roma, 1949, pag. 7.

9I. C. GAVINI, Storia dell'architettura in Abruzzo, Milano-Roma. 1926, Vol. II, pag. 272. T. BROGI, op. cit., Vol. II, pagg. 406, 407 «Per Celano ebbe una particolare predilezione: vi ingrandì tra l'altro il castello, l'abbellì e vi fece opere di fortificazioni più adatte ai tempi per modo che il Feboni ebbe a dirlo piantato da lui ... » R. PERROTTI, op. cit., pag. 11.

10È doveroso ricordare che, tra il XV e il XVI secolo, a causa dell'espansione dell'abitato di Celano sul fianco del colle esposto a sud, fu costruita, per opera dei Piccolomini, la II cinta muraria con torri a base circolare. Il nucleo originario del centro, la cosiddetta «Cittadella», edificata nel 1227, era circondato dalla prima cinta muraria con caratteristiche torri quadrate.

11E. CELANI, Una pagina di feudalesimo, Città di Castello, 1893, pag. 15.

12Il testo è riportato dal CORSIGNANI, op., cit. , parte II, pag. 495; dal PERROTTI. op. cit., a pag. 2l; dal PICCIRILLI a pag. 66 dell'opera «La Marsica appunti di storia e d'arte» e dal BARBATI, op. cit., pag. 10:

MICHAEL PERETHUS   ROMANUSMICHELE PERETTI ROMANO
PRINCEPS VENAFRI   PRINCIPE DI VENAFRO
MARCHIO MOMENTANAE   MARCHESE DI MENTANA
CELANIQUE COMES   E CONTE DI CELANO
M. DC. VIII   1608

13L. LETTA, Notizie varie sulla Marsica Celano ed il Fucino, L'Aquila, pag. 59. R. PERROTTI, op. cit., pag. 8. P.A. CORSIGNANI, op. cit., parte I, vol. II, pagg. 97 e 98. C. TOLLIS, op. cit., pagg. 114 e 115.

14Maria Felice Peretti era sposata con Bernardino Savelli.

15T. BROGI, op. cit., pag. 428. R. PERROTTI, op. cit., pag. 9.
E. AGOSTINONI, Il Fucino, Bergamo, 1908, pag. 94.
A. CANTELMI, Storia di Celano, La Caput Marsorum, Pescara 1976, pag. 94:

GIULIO PRINCIPE SAVELLI
DUCA DI MARSI CONTE DI CELANO
BARONE DI PESCINA E SUO ANNESSI
CONTE DI CINCIONE PRINCIPE DEL
S.R.I. E Dl VENAFRO MARESCIALLO
PERPETUO DI S. CHIESA CUSTODE
DEL CONCLAVE GRANDE DI SPAGNA
CAVALIERE DEL TOSON D'ORO PATRONO
PERPETUO DI TUTTA LA RELIGIONE
DI S. FRANCESCO
1697.

16T. BONANNI, Monografia dell'antico e nuovo castello di Celano nei Marsi e della sua antica contea, L'Aquila, 1892, pag. 9.
A. Di PIETRO, Agglomerazioni attuali delle popolazioni della diocesi dei Marsi, Avezzano, 1896, pag. 128.

17G. BARBATI, op. cit., pag. 17«... è a deplorarsi che [questo castello] diviso fra più padroni dopo l'abolizione del feudalesimo, siasi lasciato in balio delle intemperie, che in molti punti l'han fatto cadere e l'han ridotte a veri ruderi e ruine. Ma già il primo danno fu sofferto dal castello pel terremoto del 24 gennaio 1780, per cui cadde tutta la merlatura di una delle quattro torri poste agli angoli del maschio. E' da sperare che qualche mugnifico signore, od almeno il governo, dichiarandolo monumento nazionale, voglia, se non restaurarla, almeno far sì che la sua caduta si arresti e si mantenga quel tanto che oggi rimane in piedi».
E. AGOSTINONI, op. cit., pag. 94 «...La corona delle torri è in gran parte diruta, un lato del ballatoio è inservibile e pericoloso...»
«La reggia massiccia e le torri di difesa rattoppate e caricate di casette, sembrano un alveare umano. Il popolo gira dappertutto, entra senz'attesa di licenza ed abita tranquillamente una delle tante piccole parti del gran casa gentilizia».
«... Il popolo ha conquistato il castello senza sforzo perchè questo più non resiste, è in dissolvimento...»

18Lotti di restauro effettuati dal Genio Civile di Avezzano con la direzione artistica della Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici per I'Abruzzo:

1940 - 1° lotto, sgombero delle macerie;
1941 - 2° lotto, demolizione e ricostruzione delle parti pericolanti, ricostruzione del colonnato inferiore del cortile, sgombero delle macerie dei vani interni;
1941 - 3° lotto, rimontaggio degli elementi del secondo piano del loggiato del cortile. ricostruzione di alcuni muri interni ed esterni e di elementi caduti dalle torri, del cammino di ronda e delle finestre:
1943 - 4° lotto, ripresa delle lesioni, ricostruzione di muri interni ed esterni, di scale ecoperture, consolidamento aperture;
1943 - 5° lotto, ricostruzione di alcuni muri e tetti;
1955-1957, restauro strutture danneggiate dagli eventi bellici;
1960, esecuzione di impianti di illuminazione ed igienici, di pavimentazioni e di porte interne.

19Molti autori, fra cui il BONANNI (op. cit., pag. 10) e lo STRAFFORELLO (La patria geografia dell'Italia Torino, 1899, pag. 73), parlano nei loro testi di un fossato che circondava tuttala cinta. Questa ipotesi è da ritenersi erronea in quanto il castello è situato sopra uno sperone roccioso che a nord forma uno strapiombo. Dunque si ritiene che il fossato sia sempre statoparzialeR. PERROTTI, op. cit., pag. 21.

20R. PERNOTTI, op.. cit., pag. 21.

21L. LETTA, op. cit., pag. 59.

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Celano - StemmaCelano - GonfaloneStemma: lo stemma rappresentato dall'emblema raffigurativo è stato riconosciuto con Regio decreto-legge in data 13 novembre 1934. Lo stemma risulta diviso in due parti da una fascia riportante il motto "Vitrea te Fucinus unda", citazione contenuta nell'Eneide di Virgilio. Il quadrante superiore è sormontato da una corona contenente al centro tre foglie di palma e lateralmente l'Agus Dei e l'aquila di San Giovanni Evangelista. Il quadrante inferiore include lo specchio d'acqua raffigurante il lago Fucino e i monti circostanti. È sormontato da tre stelle a sei punte. La scritta "UNIVERSITAS CELANI CAPUT MARSORUM" circonda il sigillo.

Gonfalone: drappo partito di rosso e di azzurro, ornato di ricami d'oro. Include centralmente lo stemma e gli ornamenti da città sormontati dalla scritta "CITTÀ DI CELANO". Nell'uso del gonfalone si osservano le norme del D.P.C.M. 3 giugno 1986, sostituito dalla legge 5 febbraio 1998, n. 22.

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